Il Blog della Compagnia Modellisti Valdemone

domenica 10 ottobre 2010

Cacciatore Rgt. Forìe di Messina - Reale Armata dei Volontari Siciliani 1808 (WIP Step 1)


Note Storiche a carattere generale
Con editto del 21 febbraio 1806 re Ferdinando I di Borbone incaricò i principi di Trabia, di Cassaro e di Belmonte, di “proporre i mezzi più pronti e più efficaci di armamento” per attivare la difesa della Sicilia, minacciata dalle truppe francesi. L’editto faceva leva  sullo “spirito patriottico” siciliano, facendo intendere ai nobili dell’isola che i francesi non si sarebbero limitati a cambiare re, ma avrebbero sovvertito l’intero sistema sociale ed economico. Per la nobiltà siciliana l’unico modo per evitare la catastrofe era di collaborare con il re “per una comune difesa della Patria, costituzione, leggi, persone e proprietà e quanto ha in questo mondo di più sacro e più caro”.
In Sicilia già nel 1798 era stata creata la Milizia volontaria la quale contava 24.000 uomini, di cui 2.700 a cavallo, suddivisi su 21 reggimenti comandati da baroni, ma nel 1808 un Real dispaccio scioglieva i reggimenti della milizia istituiti nel 1798 e ne incorporava comuni e bassi ufficiali  in un nuovo “esercito sedentario di milizie locali”  o “Armata de’ Volontari Siciliani”, che aveva per “oggetto principale… la difesa del Regno dall’invasione dell’inimico”.
Il sovrano era certo che i siciliani avrebbero contribuito a completare l’armata, “e per la fedeltà e amor così tantissimo” alla sua persona e famiglia “e per l’interesse proprio e particolare di ciascun ordine a conservare l’attual forma di governo, essendo noto a ognuno per le notizie che pervengono da luoghi occupati dalle forze armate francesi, che la Feudalità vi si abolisce, che i beni delle Chiese sono invasi, che tutto giorno nuove gravezze, e pesi si impongono, e che gli artegiani, ed i pacifici abitatori delle campagne sono svelti per forza dalle loro case, ed inviati in luoghi lontanissimi a guerreggiare per oggetti affatto contrari agli interessi politici della Patria loro”. Il dispaccio nominava comandante generale il principe Leopoldo di Borbone, secondogenito del re, assistito dal principe di Butera con l’incarico di direttore generale, e con il grado di tenente generale. Il principe della Cattolica fu nominato “maggior generale” col grado di maresciallo di campo e i principi di Collereale, di Scaletta, di Cutò e di Carini e il barone Michele Requesenz aiutanti maggiori generali ispettori delle 5 divisioni (quattro di fanteria e una di cavalleria) col grado di brigadieri. Trentasei baroni furono nominati infine “colonnelli proprietari” di altrettanti reggimenti volontari (9 di guarnigione, 23 di cacciatori e 4 di dragoni leggeri). Michele Burgio fu nominato colonnello del Reggimento Zappatori.
Questo esercito doveva comprendere unità di fanteria, di cavalleria e di artiglieria. La fanteria era divisa in reggimenti di guarnigione, reclutati tra gli abitanti delle più importanti città e destinati alla loro difesa e sicurezza interna, ed in reggimenti di cacciatori, reclutati in tutte le altre città e nei paesi dell’isola, suddivisi territorialmente in battaglioni, compagnie e squadre, destinati alla difesa del loro territorio da nemici interni ed esterni. La cavalleria, anche essa organizzata su base territoriale, contava quattro reggimenti di Dragoni leggeri, composti da proprietari di cavalli, campieri e guardiani a cavallo, dei feudi baronali e delle tenute private. L’artiglieria che non fu mai costituita  avrebbe dovuto essere composta da un reggimento di cannonieri, una brigata di artiglieri a cavallo, tre, compagnie di pontonieri e un reggimento di zappatori.
Tranne che per gli appartenenti alle vecchie milizie, immessi d’autorità in quelle nuove, l’arruolamento era volontario e doveva essere effettuato in proporzione agli abitanti delle città e dei paesi. L’età dei volontari andava dai 16 ai 45 anni e la preferenza, specie per i reggimenti cacciatori, era data ai celibi. Agli arruolamenti dovevano provvedere i baroni, i feudatari e a tale scopo il colonnello comandante di ogni reggimento doveva essere un nobile coadiuvato nel comando effettivo da un direttore , che era un tenente colonnello delle truppe regolari. Pure dalle truppe regolari provenivano i maggiori comandanti di battaglione e l’aiutante maggiore, così come gli aiutanti, scelti tra i porta bandiera ed i primi sergenti delle truppe di linea, molti dei quali erano allora privi di un incarico effettivo ed avevano visto ridursi di due terzi la paga. Gli altri posti di ufficiale erano coperti da nobili o da benestanti che si dovevano distinguere con il vestire e l’equipaggiare a loro spese i volontari. Questi volontari avevano diritto nei giorni  in cui prestavano effettivo servizio, ad una paga di 5 carlini (6 per la cavalleria), uno dei quali era trattenuto per formare la massa vestiario con la quale  vestire i volontari sprovvisti di uniforme. Altri incentivi all’arruolamento erano offerti dal privilegio del foro militare, esteso anche ai familiari del volontario, per quasi ogni tipo di causa, dall’assistenza medica gratuita e dalla pensione  di 5 carlini al giorno per gli invalidi e di 3 carlini per le vedove di eventuali caduti.
Chirurghi, armieri, maniscalchi e sellai, chiamati a prestare la loro opera anche al di fuori dei giorni di servizio, dovevano ricevere una modificata gratificazione, proporzionata alle loro fatiche e dispendi.
La prima fase di addestramento militare dei volontari era demandata a sottufficiali dell’esercito appositamente distaccati, poi i volontari si sarebbero esercitati sotto la guida dei propri graduati tutte le domeniche, per due ore, ciascuna unità nel suo paese, salvo a riunirsi nella città sede del comando di compagnia ogni prima domenica del mese. Una volta l’anno (due volte per i cacciatori) i reggimenti si dovevano riunire per esercitazioni, marce e manovre.
I reggimenti di guarnigione erano formati da Piana Maggiore e Piana Minore e due battaglioni di cinque compagnie, quattro di fucilieri ed una di granatieri. Quelli cacciatori avevano una composizione analoga ma con battaglioni di sole quattro compagnie. I reggimenti di dragoni leggeri erano su Stato Maggiore e Stato Minore e quattro squadroni di due compagnie.
I reggimenti di guarnigione erano distribuiti: 4 a Palermo, 1 a Trapani, 1 a Messina (suddiviso tra Messina e Milazzo), 1 a Catania e 1 suddiviso tra Siracusa e Augusta. I reggimenti cacciatori erano ripartiti: 10 in Val di Mazzara (a Girgenti, Mazzara, Termini, Sciacca, Marsala, Licata, Polizzi, Corleone, Sutera e Monreale), 7 in Valdemone (a Forìe di Messina (ossia nei villaggi intorno a Messina), Patti, Cefalù, Troina, Taormina, Aci Reale e Castroreale) e sei infine in Val di Noto (Noto, Caltagirone, Lentini, Castrogiavanni, Ragusa e Terranova). Con ordine del giorno del 31 marzo 1809 venne poi aggiunto un reggimento di cacciatori della Piana di Palermo.

I 24 Reggimenti Cacciatori
I reggimenti Cacciatori (6 della Divisione Valdimazzara I, e poi 5 della II, 7 della Valdemone e 6 della Valdinoto) erano composti da 1097 uomini inclusi 40 ufficiali (piana maggiore di 10, piana minore di 39 e 2 battaglioni, ciascuno su 4 compagnie di 131) per un totale di 26.088 uomini di cui 960 ufficiali. Oltre al servizio di guerra, cacciatori e dragoni svolgevano il servizio di polizia per mantenere ordine e sicurezza delle università e delle Valli. I magistrati avevano il diritto d’impiegarli in tali servizi col permesso dell’aiutante maggiore generale sotto ispettore, tenuto a darne subito conto al comandante generale delle Armi. Oltre all’istruzione individuale e di squadra o plotone, era prevista una riunione annuale nel capoluogo del reggimento, in primavera, prima dell’inizio dei lavori agricoli, per l’istruzione al servizio di campagna, bivacco, marce militari e manovre di battaglione e linea.
I Cacciatori del reggimento Forìe di Messina, parteciparono alle operazioni della notte tra il 17 e il 18 settembre 1810 per contrastare lo sbarco della Divisione Cavaignac. Dal rapporto fatto all’aiutante maggiore generale ispettore della 3° Divisione VS Valdemone, brigadiere principe di Collareale , dal tenente colonnello Giacomo Natoli, direttore del Reggimento cacciatori Forìe di Messina, si apprende che lui ed il maggiore Emanuele Reyes si limitarono a riunire  400 uomini del 1° battaglione nella fiumara di Camaro restando qui fermi in attesa di ordini. Altri 200 furono riuniti  nei luoghi di sbarco dall’aiutante maggiore Gaetano Cardinale, ma a dirigere gli scontri alle spiagge di Mili, Galati e Santo Stefano furono in realtà tre sergenti: Pitelli della IV/1°, Pietro Topica della IV/ 2° e Pietro d’Errigo della IV/1°. Il sergente Topica vantò la cattura di 14 prigionieri e la presa di due tamburi guarniti in ottone. Il rapporto del Trenete colonnello Natoli menziona un solo caduto (figlio di un volontario di S. Stefano), 5 feriti (2 volontari, 2 figli di volontari e 1 maestro fabbricatore) e 1 disperso, viene inoltre segnalata la perdita di 4 fucili rotti o rubati.
Sappiamo inoltre che due compagnie di “volteggiatori” siciliani furono aggregate alla colonna anglo-tedesca partita  da Messina all’alba del 19.
Il 23 maggio 1812 i reggimenti guarnigione dell’Armata dei Volontari Siciliani cessarono il servizio di piazza, ma cacciatori e dragoni continuarono ad essere impiegati per la vigilanza sull’esportazione clandestina di frumento verso Malta in eccedenza alle quote concordate con gli inglesi e per i cordoni sanitari disposti con ordinanza reale del 5 settembre 1812 per la peste e febbre gialla di Smirne lungo litorale di Noto e Avola, (reggimento cacciatori Noto) e nel 1813 lungo le spiagge di Tusa e Carini e poi anche di Aci, S. Antonio e S. Filippo. L’impiego dei Cacciatori per lo svolgimento di questi servizi suscitarono non poche questioni con le università locali, danneggiate dalle franchigie dai dazi di consumo concesse ai volontari e le occupazioni di stabili. Le università del Val di Mazzara si auto ridussero le somme da corrispondere per la diaria dei volontari, suscitando a loro volta le proteste dei comandi.
Con i decreti reali del 18 e 19 gennaio 1818 nn. 1071 e 1081 i volontari siciliani furono sciolti.
  

Note Uniformologiche
Il decreto costitutivo della reale Armata dei volontari siciliani del marzo 1808, che sostituivano  le vecchie milizie provinciali, ne fissava anche le uniformi per ogni tipo d’arma.
I reggimenti di cacciatori avevano un uniforme ispirata in parte a quella degli antichi battaglioni cacciatori dell’esercito borbonico e in parte a quella delle truppe leggere britanniche. Infatti la loro tenuta era costituita da una giacca di panno verde, corta e bottonata a petto cavalcato con mostre, profili al petto e faldine del colore distintivo della valle di appartenenza e bottoni di metallo giallo.

Valle
Colore distintivo
Valdimazzara
Valdemone
Valdinoto
scarlatto
celeste
nero

Sulle spalle avevano spalline di lana gialla. In vita portavano una fascia di lana scarlatta. I pantaloni erano del tipo a calza braga di panno grigio cenerino “alla marinara”. I cuoiami erano verniciati neri, il copricapo era costituito da un casco con una cresta di ciniglia nera, ed aveva un piumetto verde sul lato sinistro, del tipo di quello portato dai dragoni leggeri e da altre unità di fanteria dell’esercito britannico.
Per tutti i corpi di fanteria il corredo della truppa comprendeva  giacca con rolli e pantaloni di cotone (probabilmente bianchi), berretta da quartiere di panno verde con filetti laterali e fiocchetti di colore distintivo ed un cappotto da fanteria di panno bigio.
I cacciatori avevano inoltre una pelle di montone da usare sia come mucciglia (zaino) arrotolata e legata dietro le spalle, sia per dormire in bivacco (in servizio custodia dei litorali).

Bandiere
Nei provvedimenti relativi alla costituzione della Real Armata dei Volontari Siciliani si fa cenno alle bandiere di cui questi reparti dovevano essere provvisti, e che sappiamo essere  state distribuite. Ogni battaglione dei reggimenti di guarnigione  doveva avere due bandiere, i battaglioni dei Cacciatori ne avevano una. Queste bandiere dovevano avere il fondo bianco e portavano al centro l’emblema dell’Aquila di Sicilia in atto di volare, nel cui petto vi erano i 3 gigli borbonici in oro. Ai 4 angoli della bandiera vi erano alternativamente le armi del valle e della città capoluogo cui il battaglione o lo squadrone erano riferiti.

Note modellistiche
L’ispirazione di realizzare un Cacciatore del Reggimento Forìe di Messina della Reale Armata dei Volontari Siciliani mi è venuta mentre guardavo il bel Marinaio della Guardia del Regno di Napoli 1808, scolpito da Maurizio Bruno e prodotto dalla Romeo Models (RM 54-94). Osservando la box art  mi sono reso conto che con pochissime modifiche avrei potuto aggiungere un nuovo pezzo alla mia collezione di Soldati borbonici. Ho quindi tirato fuori dall’archivio la documentazione necessaria, mi sono procurato il kit della Romeo Models e mi sono messo all’opera.




Per prima cosa ho deciso di sostituire la testa originale, che nel modello è separata dal copricapo e così com’è potrebbe già andar bene, ma io avevo in mente qualcosa di diverso. Trovata una testa in resina della Historex di mio gradimento, nel “magazzino” dei pezzi sciolti ho recuperato un copripaco sempre Historex dei Dragoni Inniskilling cui ho ridotto di dimensioni la cresta originale  e riprodotto con stucco la cresta di ciniglia nera che mi serviva. Ho continuato a modificare l’elmo riproducendo con lo stucco la fascia metallica e il sottogola ricavato con lamierino zincato, tutto seguendo le tavole tratte dal Volume di Boeri e Crociati, L’esercito borbonico dal 1759 al 1815, edito dall’Ufficio Storico dello SME.
  

Ho quindi messo mano alla lima e ho eliminato le spalline originali, gli spallacci dello zaino, ho abbassato con una lima le bandoliere all’altezza dell’incrocio centrale cambiando il senso di incrocio, ricostruendolo con stucco epossidico. Sempre con lo stucco ho ottenuto gli sbuffi a mezzaluna sulle spalline che sono di provenienza Historex modificate. Con un taglierino affilato ho anche eliminato le mostrine sul colletto sostituite con due cornette da cacciatore, sempre Historex.

Il fucile in dotazione al soldatino originale è ovviamente francese, molto diverso dal Brown bess inglese in dotazione ai Volontari siciliani. 
Mi sono procurato qualche foto del Brown bess e utilizzando una piccola lima ho iniziato a modificare il calcio, quindi ho limato la cassa del fucile e eliminato la canna. Durante questa operazione si è danneggiata molto la metà anteriore del fucile. Non è stato un gran danno. Quindi, sulla metà restante della cassa del fucile mi sono ricavato superiormente una scanalatura ove inserire la canna e ho sagomato un tratto della parte inferiore della stessa per ricavare l’alloggiamento della bacchetta. Dalla metà anteriore ho staccato con cura  la mano sinistra che impugnava l’arma e l’ho ripulita in modo che potesse accogliere il nuovo fucile che intanto ho completato aggiungendo una nuova canna forata, ottenuta tagliando a misura un tubicino in metallo utilizzato dai pescatori per innescare i vermi e ricostruendo la cassa con milliput. La bacchetta l’ho ottenuta con sprue stirato a caldo. Le mani sono state poi imperniate e inserite al loro posto per verificare che il fucile poggiasse naturalmente sulla mano sinistra del soldatino.

Completato il fucile (al quale più tardi aggancerò la cinghia presente nel kit originale), sono passato a modificare anche la bandoliera, rimpicciolendola e allargandola un pochino. La copertura è stata ricostruita con un foglio di lamierino zincato (tubetto di pomata) e il tutto è stato rifinito con stucco. A questo punto ho aggiunto la cinghia a tracolla cui si agganciava la particolare mucciglia (zaino) portata a tracolla e costituita da una pelle di montone ripiegata a mo’ di bisaccia, chiusa con 3 alamari che ho modellato con stucco. Gli alamari li ho riprodotti con filo di rame sottile e sprue stirato. Per finire la daga l’ho ottenuta modificando con carta vetrata e taglierino una daga da zappatore francese dell’Historex  Ora manca soltanto il piumetto  da inserire sul lato sinistro dell’elmo e il cacciatore  è finito e pronto per essere dipinto con i colori del Reggimento Val Demone.


Tra una fase e l’altra ho iniziato a preparare la basetta, utilizzando come parte centrale, l’ambientazione fornita dal kit, adattata con stucco alla basetta che avevo scelto. Però così come era mi sembrava un po’ “spoglia”. Quindi nello stucco ancora fresco ho inserito qualche sassolino e poi mi è venuta la folle idea  di aggiungere in un angolino una pianta di ficodindia…

Pippo Pandolfo
Compagnia Modellisti Valdemone

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